A.A.A. Serio e referenziato cerca nuove amicizie. Astenersi fan dei Korn

Se una sera ti trovi a discutere con i tuoi “amici” su quale sia stato l’album più rappresentativo degli anni Novanta, la cosiddetta 90s-ness (perdonate), e loro se ne escono con risposte irripetibili – vuoi per pudore, vuoi per affetto stagionato – è sintomo che ormai non ci si può fidare proprio di nessuno.
Meno male che c’è la rete (lo so, Grillo B. sarebbe fiero di me).

Lou Reed e i coccodrilli

Lou Reed, 71 anni, elettroshock, bisessuale, Andy Warhol, la banana, i Velvet Underground, l’eroina, rock star tormentata e la sua variante rock star camaleontica, i giochi di parole su Take a walk on the wild side, le 10 canzoni più belle, Laurie Anderson, i tossici, il Village, i giochi di parole su Perfect day, poeta del rock e la sua variante poeta maledetto del rock, David Bowie, Berlin (elettroshock reprise), Transformer, gli omosessuali, la tedesca Nico, l’algida Nico, l’enigmatica Nico, la gotica Nico, John Cale, la viola di John Cale, la storica reunion al Bataclan, Metal Machine Music o l’album dei feedback (rivedere recensione Lester Bangs ndr), Coney Island Baby, Songs for Drella, i discografici stronzi della Rca, la sua eredità musicale, Lulu e i Metallica, Venus in Furs, il sadomasochismo, le anfetamine, New York e il suo lato selvaggio, il ricordo di Patti Smith, le vecchie interviste che sanno di naftalina.

Grazie, sapevamo già tutto.

Wolf is dead, punk not yet

Capita che di passaggio a Londra, dopo qualche pinta di troppo nella giovane Old Street, tu ti imbatta in una serata che promette lividi da pogo, vodka del Don e un ritorno in taxi con le idee molto confuse. E questa è la parte che tutti noi conosciamo. Quello che non sai è che nei prossimi trentacinque minuti farai la conoscenza di quattro ragazzi sulla ventina (Alwin Fernandez, Martha Supajirawatananon, Serra Petale e John Othello), membri con tessera dei Dead Wolf Club, gruppo londinese dark punk – ipse dixit –  che vanta già due album: l’omonimo Dead Wolf Club (2012) e il più recente RAR (2013). Imboccato il sottoscala che conduce a uno stanzino adibito a sala concerti underground – più filologico di così – prende subito vita uno spettacolo dai ritmi serrati, tra lo screamo del cantante John Othello  e la batteria davegrohlesca della signorina Petale: sentire Allison o Radar versione studio potrà darvi un’idea vaga di cosa significhi partecipare a un live dei DWC.

Sogni grunge

Stanotte ho fatto un sogno talmente bislacco da ricordarlo perfettamente ancora adesso, a distanza di qualche ora. C’ero io che parlavo con Kurt Cobain e Layne Staley della crisi economica. In particolare, Cobain, vestito da donna come in uno dei suoi tanti live, corona in testa e unghie smaltate, mi spiegava perché Keynes oggi non potrebbe funzionare come nel 1929. Svegliatomi di colpo, accendo la luce e getto uno sguardo – di quelli dei più rincoglioniti – intorno: l’occhio mi cade sull’opera prima dei Kamchatka!, la quale deve aver condizionato non poco la mia fase REM.  Il mio Nirvana, questo il titolo dell’album, se fosse uscito nei primi anni Novanta, sarebbe giunto negli uffici della  mai troppo acclamata Sub Pop (Poste permettendo). Tuttavia l’anagrafe dei Kamchatka!  in tal senso non aiuta: il trio romano ha una media che non supera i 30 anni.

Blues again(st)

La lettura sociologica parrebbe suggerire che, in tempi di crisi, certo country blues calzi bene, perché perfetto per svolgere una necessaria funzione di catarsi. Ossia, mettendo in musica le brutture del mondo (e quale musica meglio del blues?), semplicemente non ci pensi. O magari ci pensi, ma le fischietti su un motivetto allegro in 4/4, senza rammaricartene troppo. Una spiegazione da salotto tv, lo ammetto, per illustrare un fenomeno come la fioritura della nuova scena blues di Roma. Senza citare i soliti noti, vorrei invece scomodare questa one man band chiamata The Blues against youth, due album all’attivo, Pure at heart blues uscito nel 2011 e Trapped in the country di quest’anno, entrambi ascoltati ininterrottamente da giorni.

Ora diceva Rossellini che ogni nuova generazione dovrebbe ribellarsi ai suoi padri, altrimenti non avrebbe senso d’esistere. Quindi, lecito pensare che i vecchi, con i loro giradischi, bourbon e ricordi – quanto mai attuali – della DC, siano oggi più organizzati che in passato per la difesa dello status quo. E io è per loro che parteggio. Sarà che sto diventando vecchio e sono più per il blues e meno per la youth.

Music for Airports

Les Negresses Vertes_Mlah
Spesso la musica che ti cambierà la vita la incontri nei luoghi più inaspettati. Ho scoperto Lou Reed in fila dal dentista ad esempio, mentre attendevo con altri (im)pazienti nella hall il mio turno. Sguardo fisso sul tavolino pieno di inutile gossip press, 14enne con carie cerca scampo da possibili chiacchiere sul tempo. Improvvisamente, in filodiffusione, quella gemma di Perfect day. Un’epifania, tanto per scomodare Joyce.
Oppure, qualche anno dopo, i Fugazi. E a presentarteli – involontariamente, certo – è un figlio di papà tuo compagno di banco . Quanto di più lontano dall’hardcore uno possa immaginare. Avete presente il tipo, no? Settimana bianca, cardigan con i primi caldi e una venerazione integralista per i capi firmati. Che ci faceva sulla sua scrivania una copia di Red Medicine?
Poi ieri, in aeroporto, in attesa di F*****, emigrante che nel 2030 metterà su un esercito di ex stagisti  vessati e sottomessi e con loro prenderà il potere in questo Paese, scopro Les Négresses Vertes. Note biografiche a parte, questo è il pezzo da cui è iniziato tutto. Se lo immaginate come sottofondo a turisti multietnici che vanno e vengono in uno scalo internazionale e un amico da Amaro Montenegro che ritorna, non potrete non amarli.

The next day (without your girlfriend)

Photo by Jimmy King

Photo by Jimmy King

David Bowie always surprises me. And it’s not necessarily a good thing, I must admit. His new record The next day, which many music editors are hailing these days as a great album, is surprising. In a negative way. But probably this consideration must be explained. My girlfriend gave me this album last Friday, whispering only a few words in her sexy voice. Happy birthday, honey. First: it wasn’t my birthday. Second: she knows that I don’t go crazy for modern Bowie’s stuff (and who does, when you’ve been listening to his masterpiece record since the age of seven?) Third: she opened the door and simply got off my car. No kiss, no sex, nothing. So, I should be honest: Bowie’s last album isn’t so bad as I’m trying to depict it now. And probably it’s only my manhood frustration to speak.

Kill your idols: concerto dei P***** S*****

Sabato sono andato a vedere il concerto dei ****** *****. Lo so, ormai sono dei derelitti e le cose che suonano sono sempre le stesse da venti anni a questa parte. Per di più, riescono nella non facile impresa di  farle  sempre peggio. Lo so, ***** non si regge più in piedi, la voce l’ha buttata tra fumo e l’inevitabile scorrere del tempo e l’unica cosa che sembra riuscirgli veramente bene è ubriacarsi nel backstage. Poi, a seconda dell’umore, può mettersi a fare il clown o interrompere il concerto a metà, per via del suo stomaco logoro. Però, data l’anagrafe, non potevo farne a meno. Così, alle nove mi trovo davanti ai cancelli, con un pubblico per lo più quarantenne – tutto sommato portati benissimo – in un capannone che spacciare per locale è veramente un crimine contro l’umanità. Nonostante ciò, maglietta del gruppo indosso, sorriso a trentadue denti, banconota da venti porta con nonchalance all’addetto ai biglietti e tanto, tanto masochismo per le successive due ore. Già, ***** era in stato di grazia e il suo tasso alcolico stavolta l’ha messo in modalità up. Nonostante ciò, concerto terribile. Nonostante ciò, kill your idols diceva qualcuno.

La babele degli Stereototal ovvero Della necessità di un nuovo esperanto

Françoise Cactus e Brezel Göring sono meglio di un Erasmus. E meriterebbero un premio della Commissione Europea per il lavoro che fanno. La loro band, gli Stereototal, un duo franco-tedesco che ricorda le intese post-guerra tra Schuman e Adenauer, spesso ha registrato i propri pezzi in diverse lingue. Accadde così anche nel 2002 per la hit Liebe zu Dritt, inno alla gioia del triangolo amorosoche li portò subito alla ribalta della scena musicale internazionale (come potrebbe essere altrimenti?). L’esaltazione del ménage à trois conta altre tre versioni:  una  francese  (L’amour à trois), una inglese (Love with the three of us) e una spagnola (Amo amor a tres), contenuta quest’ultima in un album uscito nel 2009 totalmente in castigliano.

E l’Italia? Non pervenuta. A conferma del ruolo di seconda-terza mano che ormai Roma gioca sullo scacchiere europeo.